Blog dedicato al "cazzeggio di classe" ... Perché giocare è una cosa seria.
mercoledì 29 luglio 2009
La SFIDA, l'unica degna di tale nome...
lunedì 27 luglio 2009
Doppio Giallo - La Finale
giovedì 23 luglio 2009
Nuove Socie Tenniste
lunedì 20 luglio 2009
…non solo tennis o calcetto
venerdì 17 luglio 2009
Che mondo è...
mercoledì 15 luglio 2009
Easy Rider... all'amatriciana.
martedì 14 luglio 2009
venerdì 10 luglio 2009
Classifica Tennis: new entry.
giovedì 9 luglio 2009
Doppio Giallo - Sorteggio Quarti di Finale
mercoledì 8 luglio 2009
martedì 7 luglio 2009
Qualcuno si riconosce?
Da Wimbledon al circolo sotto casa. La sublime e crudele arte del tennis.
Non sapevo nulla di tennis e ho cominciato a giocare da ragazzo, con una serie di lezioni. Inizialmente, sotto il tendone di un centro sportivo, con Harry, un rottame 50enne che si scolava una bottiglia di porto a colazione. E più tardi con il vecchio Syd, un appassionato che frequentava i campi comunali, con un paio di gambe vistosamente storte che tra l'altro era incapace di piegare. A quei tempi Harry e Syd erano diventati ormai due tragici esemplari di decadimento fisico, ma avevano in comune quella caratteristica che denota il tennista talentuoso: sapevano esattamente dove sarebbe andata a cadere la tua pallina e si dirigevano verso quel punto con passo fluido e con il minimo sforzo. A rete, avevano la «mano morbida» - piena di macchie scure quella di Harry, nodosa e artigliata nel caso di Syd - ma entrambe sensibilissime e pronte a reagire con elasticità alla traiettoria e alla velocità della palla. Il tuo diritto più forte atterrava sulle loro racchette senza emettere il minimo suono e la palla si smorzava e rotolava lentamente a metà campo, davanti alla linea di servizio.
Harry, almeno, aveva saputo darmi qualche consiglio prezioso. Nel servire, diceva, immaginadi lanciare la palla con tutta la racchetta verso il bersaglio; nei tiri bassi, fai ruotare completamente il braccio per colpirla nel momento stesso che la vedi partire verso di te. Gli insegnamenti di Syd, come ho capito in seguito, erano invece penosamente antiquati. «Sotto rete, stai ben dritto. Se la palla ti arriva bassa, abbassa la testa» (In realtà bisogna tenere la testa al livello del punto di impatto). Syd era un tradizionalista anche sotto altri aspetti. «Dài», mi rimproverò una volta a bassa voce, mentre ce la mettevo tutta contro Linda, una mia ex che sapeva il fatto suo. «Le ragazze non vogliono vincere. E tu non devi farle vincere». In seguito, mi ripetevo le parole di Syd ogni volta che venivo massacrato con gusto dalla mia amica Kate.
Alla svolta dei trent'anni, ho smesso di ingaggiare istruttori e ho cominciato a noleggiare le macchinette (che costano molto meno e non dispensano consigli). In un'ora ti puoi permettere circa 600 battute. Ma questo sistema ha un grosso difetto e me ne sono accorto un po' alla volta. Racchiuse in una specie di carrellino, le palline da tennis scagliate dalla macchinetta sono di qualità molto diversa, alcune nuovissime,altre spelacchiate, altre ancora sgonfie e spugnose (come se strappate dalla bocca di un cane sei mesi prima). Rimbalzano tutte ad altezze diverse, e pertanto l'obiettivo primario, che è quello di impratichirsi e di sviluppare una certa «memoria muscolare» nel tiro, risulta completamente mancato. Ho smesso di imparare, ho smesso di allenarmi e ho continuato semplicemente a giocare, talvolta fino a sei volte la settimana.
Il mio primo servizio era per forza piatto (sono alto 1 metro e 67), il secondo tiro debole ma efficace. La mia volée era sempre nervosa, ma la schiacciata funzionava il più delle volte. La parabola del mio dritto era «piuttosto forte», come si suol dire; il mio rovecio uno slice assai accurato. Più tardi ho perfezionato la variante a topspin (da utilizzare solo contro i tiri da metà campo). Il pallonetto difensivo, di gran lunga la mia arma più efficace, si è sviluppato allo stesso modo; Una volta ho fatto un pallonetto a effetto contro un rivale molto alto, molto atletico e molto bravo che poggiava i piedi sulla linea di servizio: non è saltato e non si è nemmeno girato, si è limitato a battere la mano contro la racchetta. E a questo ammonta in ultima analisi la carriera di un tennista mediocre: accarezzare il ricordo di non più di una dozzina di tiri. Quel colpo a semivolo con ricaduta angolata, quel rovescio a effetto lungo la linea, quella spinta in contropiede che ha fatto inciampare e cadere secco a terra l'avversario...
La massima gloria l'ho toccata a quarant'anni. Durante un'estate memorabile mi sono destreggiato sul campo da tennis come un poeta guerriero, nelle mie vene scorreva l'icore degli dei, mentre dal mio sguardo concentrato scoccavano lampi di intuizione e per ben cinque mesi ho imbracciato la mia Wilson senza perdere nemmeno un set. Sul finire di quell'anno ho registrato forse la mia più fulgida vittoria, contro Chrìs, uno dei giocatori più possenti e spiritosi del Paddington Sport Club. Avremmo giocato un solo set, quel giorno, e io avevo un unico piano: l'ho strapazzato per bene fino a fargli perdere le staffe (sotto lo sguardo dei colleghi burloni). Quando ci siamo stretti la mano alla rete (7-5), Chrìs mi ha detto: «Sei stato bravo, Mart, ma giochi da schifo e se non ti batto la prossima volta 6-0, 6-0, col tennis ho chiuso». La volta successiva ha vinto lui 6-0, 6-1. E Chrìs non ha dovuto appendere la racchetta al chiodo. L'ho fatto io, un po' alla volta. Verso i 45 anni, ho notato che ogni partita, per me, diventava una lotta sempre più faticosa contro il passar del tempo. Invecchiando, è naturale che si rallenti e che i movimenti si facciano più impacciati. Ma il sintomo più spaventoso di tutti è il calo dei riflessi. La pallina ti viene incontro, scavalcando la rete, come una strana sorpresa: tu te ne resti lì impalato a guardare finché, con uno spasmo senescente, fai un balzo in avanti per andarle incontro. E queste avvisaglie le notavo anche in altre occasioni. Un pomeriggio, mentre guardavo una partita di calcio internazionale con i miei figli, a metà del secondo tempo il ragazzo più grande ha osservato: <
Circa un anno fa sono giunto alla conclusione rasserenante che la giornata non è abbastanza lunga (e nemmeno la vita) per continuare a giocare a tennis: cambiarsi, prendere la macchina, parcheggiare, fare stretching, giocare, perdere, fare stretching, rimettersi in macchina, farsi la doccia e cambiarsi. Forse un giorno rientrerò zoppicando in un campo datennis. Per il momento, mi limito a rimpiangerlo.... Tennis: la combinazione perfetta di prestanza atletica, arte, potenza, stile e senso dell'umorismo. Uno sport bellissimo, ma più di ogni altro così crudelmente mortificato dal passare degli anni.
Martin Amis (traduzione di Rita Baldassarre)
Corriere della Sera - 6 luglio 2009
giovedì 2 luglio 2009
La Zingarata con gli scooters
Quindici minuti dopo ci raggiunge Raffaele e é fornito di regolamentare casco. Nel frattempo non vedendolo arrivare chiamiamo Nando, che peraltro si era completamente dimenticato di questa zingarata e aveva dato lo scooter al figlio.
Alle ore 12:30 arriva Claudio